Il tema del packaging compostabile è diventato centrale negli ultimi anni, complice la crescente sensibilità verso la sostenibilità e la riduzione dei rifiuti. Nei supermercati e nei negozi compaiono sempre più confezioni con scritte come “eco”, “biodegradabile”, “compostabile” o “green”. Tuttavia, non tutte queste definizioni corrispondono alla realtà: molti imballaggi sono solo parzialmente riciclabili, altri richiedono impianti industriali per decomporsi, altri ancora non hanno nulla a che vedere con il compostaggio domestico.
Per evitare confusione e ridurre gli errori nella raccolta differenziata, è fondamentale capire cosa significa davvero “compostabile”, quali certificazioni bisogna cercare e come comportarsi in base alle regole locali di smaltimento.
Biodegradabile e compostabile: non sono la stessa cosa
La prima distinzione da chiarire è quella tra “biodegradabile” e “compostabile”. Un materiale biodegradabile è un materiale che può decomporsi in natura grazie all’azione di microrganismi, luce e ossigeno. Ma non esiste un limite di tempo preciso: può volerci qualche settimana come decine di anni. Per esempio, anche la plastica tradizionale è tecnicamente biodegradabile, ma in tempi così lunghi da risultare dannosa per l’ambiente.
Un materiale compostabile, invece, deve rispettare criteri molto più rigorosi. Significa che entro un tempo definito (di solito massimo 12 settimane in impianti industriali) si decompone completamente senza lasciare residui tossici, trasformandosi in compost, cioè fertilizzante naturale. Per essere definito tale, deve superare test di laboratorio riconosciuti a livello europeo.
Le certificazioni da riconoscere
Non basta che un packaging riporti la parola “eco” o “biodegradabile”: bisogna verificare la presenza di certificazioni ufficiali. In Europa i marchi più diffusi sono quelli che fanno riferimento alla norma EN 13432. Questo standard stabilisce i requisiti perché un materiale sia considerato compostabile in impianti industriali: disintegrazione in meno di 12 settimane e biodegradazione superiore al 90% entro sei mesi.
Sulle confezioni è importante cercare simboli come “OK Compost” o “Compostabile CIC”, che garantiscono il rispetto di queste norme. Il marchio “OK Compost Industrial” indica che l’imballaggio può essere smaltito in impianti di compostaggio industriale. Esiste anche la certificazione “OK Compost Home”, che garantisce la possibilità di compostaggio domestico a temperature più basse e in tempi più lunghi.
Esempi di packaging realmente compostabile
Negli ultimi anni diversi materiali sono stati sviluppati per sostituire la plastica tradizionale. Tra i più comuni:
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Sacchetti per la raccolta dell’umido: sono ormai obbligatori in molti comuni italiani e realizzati in bioplastica compostabile certificata.
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Vassoi e stoviglie in polpa di cellulosa: derivano da fibre vegetali come canna da zucchero, bambù o cartone riciclato, e possono essere compostati.
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Pellicole e film in bioplastica: utilizzate per frutta e verdura, spesso riportano il logo di compostabilità industriale.
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Capsule di caffè compostabili: alcune aziende hanno introdotto capsule certificate, che si degradano in impianti industriali insieme ai fondi di caffè.
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Piatti, bicchieri e posate compostabili: utilizzati in eventi e catering, devono però essere smaltiti correttamente per non finire nell’indifferenziato.
Questi esempi dimostrano che esistono alternative concrete, ma che richiedono attenzione nella gestione post-consumo.
Dove smaltire il packaging compostabile
La destinazione del packaging compostabile dipende dalle regole locali e dal tipo di certificazione.
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Se un imballaggio è certificato “OK Compost Industrial”, va conferito nell’umido, affinché venga trattato negli impianti di compostaggio.
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Se è certificato “OK Compost Home”, può essere inserito anche in compostiere domestiche o di comunità.
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Se riporta solo diciture vaghe come “biodegradabile” senza certificazioni, non deve essere considerato compostabile e di solito va conferito nell’indifferenziato.
È importante leggere sempre le indicazioni del proprio comune, perché non tutte le amministrazioni accettano ogni tipo di bioplastica nel bidone dell’organico. Alcune richiedono esclusivamente sacchetti certificati per evitare contaminazioni.
Errori da evitare
Un errore molto diffuso è confondere packaging apparentemente “naturale” con packaging realmente compostabile. Per esempio, piatti di plastica spessa color avana o bicchieri in cartone rivestito da un film plastico non sono compostabili, anche se danno l’idea di esserlo. Lo stesso vale per i sacchetti definiti “oxo-degradabili”: si frantumano in microplastiche, ma non si trasformano in compost.
Altro errore comune è gettare imballaggi compostabili nel sacco della plastica. In questo modo contaminano la filiera del riciclo. Allo stesso modo, smaltire prodotti non certificati nell’umido rallenta o danneggia il processo industriale di compostaggio.
Compostaggio domestico e industriale: differenze
Molti consumatori pensano che se un prodotto è compostabile allora possa essere smaltito ovunque, ma non è così. Il compostaggio domestico avviene a temperature più basse e con tempi più lunghi rispetto a quello industriale. Non tutti i materiali che si degradano in un impianto industriale riescono a farlo in una compostiera da giardino.
Per questo motivo, il marchio “OK Compost Home” è molto importante: garantisce che il materiale si degradi anche in condizioni casalinghe, senza bisogno di processi ad alta temperatura.
Perché scegliere packaging compostabile
Optare per imballaggi compostabili certificati porta vantaggi significativi:
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Riduce il ricorso alla plastica tradizionale, una delle principali cause di inquinamento.
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Aiuta a chiudere il ciclo della materia, trasformando un imballaggio in fertilizzante per l’agricoltura.
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Supporta lo sviluppo di una filiera più sostenibile, in linea con gli obiettivi europei di economia circolare.
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Aumenta la consapevolezza dei consumatori, orientandoli verso scelte responsabili.
Ma è importante ricordare che il packaging compostabile non è una “licenza a sprecare”: resta sempre prioritario ridurre al minimo gli imballaggi inutili e riutilizzare quando possibile.
Il futuro del packaging sostenibile
Le innovazioni nel settore del packaging stanno correndo veloci. Si stanno sviluppando materiali derivati da alghe, funghi e scarti agricoli che promettono di essere totalmente compostabili e sicuri. Parallelamente, le normative europee stanno diventando sempre più stringenti: entro i prossimi anni, molti prodotti in plastica monouso saranno definitivamente banditi o sostituiti da alternative certificate.
Il futuro sarà sempre più orientato a un mix di riduzione, riuso e, quando necessario, utilizzo di materiali compostabili.
Il packaging compostabile è una soluzione concreta per ridurre i rifiuti organici e sostituire la plastica monouso, ma va conosciuto e gestito correttamente. Non basta leggere “eco” o “biodegradabile”: bisogna cercare certificazioni ufficiali, rispettare le regole di smaltimento locali e distinguere tra compostaggio industriale e domestico.
Scegliere consapevolmente prodotti realmente compostabili è un gesto semplice ma di grande impatto. Ogni consumatore, con le sue scelte quotidiane, può contribuire a ridurre i rifiuti e favorire un’economia più circolare e sostenibile.
Vuoi fare una scelta davvero sostenibile? La prossima volta che acquisti un prodotto confezionato, guarda l’etichetta e verifica le certificazioni. Porta a casa solo packaging realmente compostabile: il tuo gesto farà la differenza per l’ambiente, per la tua città e per il futuro.